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3) Il giudizio

Il primo giudizio su di una rivelazione privata lo deve dare il soggetto ricevente, che tuttavia, in posizione di prudenza, deve ricorrere ad un assistente spirituale.

Poi, affermandosi la rivelazione privata come fatto pubblico e incidente nella vita dei fedeli, comporta l’interessamento del vescovo prima in forma privata, con la costituzione di una commissione teologica di esame del caso.

Spesso l’autorità ecclesiastica impiega tempo per esprimere un giudizio; in tal caso tutto grava sul soggetto, il quale agisce con il sensus fidei, che gli è proprio quando vive nella Chiesa ed è obbediente alla Chiesa. Da qui l'inizio di una severa prova: il soggetto rimane obbediente e la Chiesa indaga sulla sua obbedienza. Il soggetto non ha il conforto del giudizio della Chiesa, quando è fatto oggetto di diffidenze e di disapprovazioni; vedi p. Pio da Pietrelcina. Perciò il giudizio poggia tutto sul soggetto, il quale deve appoggiarsi alla Sacra Scrittura, ai documenti della Chiesa, alla teologia, alla sua sincerità. Deve essere interiormente pronto a lasciare tutto, a tacere; ma non può entrare in conflitto con la sua capacità di essere sincero con se stesso fino in fondo, non può entrare in conflitto con le sue stesse capacità denudate di tutto quello che potrebbe portarlo ad accogliere l’inganno; sarebbe l’involuzione mentale del soggetto. E’ un vero cammino di purificazione: una notte dello spirito, secondo il linguaggio di san Giovanni della Croce.

Pensiamo, ancora, alle diffidenze e riserve del parroco di santa Bernardetta. Pensiamo a santa Teresa d’Avila i cui scritti vennero ritenuti di origine diabolica da alcuni teologi ai quali erano stati sottoposti. Pensiamo all’azione del Gesuita padre Crivelli inviato dal sant’Uffizio per controllare santa Veronica Giuliani nel convento di Città di Castello. E i metodi passati conoscevano la segregazione del soggetto: una vera prigionia.