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LA MANIFESTAZIONE DI GESU'

LA MANIFESTAZIONE DI GESU'

 
 

L'amato mio

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2011 17:57
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30/04/2011 18:41

In altra versione, il mostro compiva stragi e così Quetzalcoaltl e Huitzilopochtli scesero dai cieli e si trasformarono in due serpenti, scesero nelle profondità dell'oceano e presero la dea, che divisero a metà. Con una parte fecero la terra, e con l'altra innalzarono il cielo. Gli dei per riguardo alla dea, che come entità divina non è uccisa, dispongono che dal suo corpo ridotto a terra uscissero i frutti necessari per la vita: con i capelli fecero gli alberi, i fiori e le erbe, con gli occhi fecero i pozzi, le fonti e le grotte, con la bocca i fiumi e grandi caverne, con le narici fecero le valli e le montagne. La dea però voleva ancora mangiare il cuore degli uomini, e non avrebbe dato frutti se non fosse stata irrigata dal loro sangue. Dunque gli uomini devono fare sacrifici umani per mantenere l'ordine delle cose. L'uomo diventa il motore che fa rimanere nell'essere la situazione nella quale vive.

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30/04/2011 18:42

Un altro mito presenta la dea Xochiquetzal, che viveva nel Tamoanchan, situato a livello del nono cielo (tredici erano i cieli delle mitologie azteche), quale luogo di delizie. In quel tempo la dea Xochiquetzal era la moglie del dio Tlaloc, ma la dea si lasciò rapire da Tezcatlipoca Nero a scopo sessuale. La dea divenne la patrona delle prostitute rituali presso i guerrieri. La dea era anche nota col nome di Ixcuina quale protettrice delle adultere, che rischiavano la pena di morte.

In altra versione del mito l'evento era accaduto a Tlazolteotl (Tlaequani), la dea “divoratrice dello sporco”. La rottura dell'ordine compiuta nel cielo diventò elemento di pericoloso esempio sulla terra, sulla quale si riversò l'ammonizione di un subitaneo diluvio.

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30/04/2011 18:42

Un altro mito, presenta la rottura dell'equilibrio a partire da due esseri umani: Nene e Tata. Essi sopravvissero al diluvio. Per cibo avrebbero dovuto consumare, secondo le disposizioni degli dei, le pannocchie di mais, ma i due colsero da un fiume un pesce morto e acceso un fuoco lo cucinarono. La cottura esalò un odore disgustoso per Citlallinicue e Citlallatonac, la dea e il dio “stella”. Nene e Tata usarono il fuoco per un essere non preso vivo, e quindi in qualche modo sacrificato nell'uccisione. La colpa non risiede nell’aver scartato il mais, ma che, nonostante avessero il mais, fecero quella cottura. Ciò che sta alla base del discorso e che crea il conflitto con gli dei è il potenziale rifiuto a fare sacrifici umani (il pesce preso dall’acqua è già morto), questo è tanto grave per gli dei che trasformano i due in esseri mostruosi, che si estinsero.

Siamo lontani mille miglia dal racconto biblico del peccato originale (Gn 3,1s), e dal dettato di Dio dato al genere umano dopo il diluvio (Gn 9,1s).



Burlan Cottie e Forman Werner, "Aztechi, mito, storia, civiltà", ed. De Agostini, Novara, 1976.

Brian Fagan, "Gli Aztechi", ed. Garzanti, Milano, 1989.

Angelo Moretta, "Miti maya e aztechi e delle antiche civiltà messicane", ed. TEA, Milano, 1995.

Emanuela Monaco, "Quetzalcoatl", ed. Bulzoni, Roma, 1997.

Hanns Prem, "Gli Aztechi", ed. Il Mulino, Bologna, 2000.

Emanuela Monaco, Mecchia Aurelio "Miti aztechi e maia", ed. Bulzoni, Roma, 2003.

Charles Wilder, "Storia del Aztechi", ed. Rusconi, Milano, 2004.

Sergio Botta, "Le religioni dell'antico Messico", ed. Carocci, Roma, 2006.


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30/04/2011 18:43

L'universo babilonese e la formazione del genere umano

La cosmogonia più importante del mondo babilonese è rappresentata dal poema scritto in accadico (lingua semitica, parte della più estesa famiglia delle lingue afro-asiatiche, parlata nell'antica Mesopotamia, in particolare dagli Assiri e dai Babilonesi) “Enuma Elis” (Quando in alto). Lo scritto è stato scoperto nel 1876 tra i documenti su tavolette d'argilla della biblioteca di Assurbanipal (669 - 629 a. C.), ma indubbiamente risale a molto tempo prima, forse al tempo di Hammurabi (re di Babilonia) (1792 - 1750 a.C) o anche al tempo di Nabucodonosor (1124 - 1103) in quanto celebra la potenza del dio nazionale Marduk, assurto a tale livello dopo essere stato un dio della vegetazione, sul tipo del fenicio Baal.

Il nome Marduk deriva con tutta probabilità dal sumerico AMAR-UTUK, che vuol dire “Giovane toro del Sole”.

Marduk veniva identificato con il pianeta Giove.

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30/04/2011 18:43

Quando in alto non era nominato il cielo

in basso la terraferma nome non aveva,

e Apsu, il primordiale, il genitore di loro,

Tiamat, la genitrice di tutti loro,

le loro acque insieme mescolavano,

e arbusti non s'intrecciavano

canneti non si vedevano,

quando degli dei non esisteva alcuno,

con nomi non erano chiamati,

i destini non erano fissati,

allora furono procreati gli dei in mezzo a loro:

Lahmu e Lahamu vennero all'esistenza,

con un nome furon chiamati...”
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30/04/2011 18:43

Sunto: Apsu (principio maschile) è un essere divino costituito da una massa d'acqua, e pure Tiamat (principio femminile) lo è. La materia, come si vede è eterna, e costituisce due divinità distinte, che si affiancano, si avvolgono e infine si congiungono. Da questa unione nacquero Lahmu e Lahamu, dai quali nacquero Anshar e Kishar, che ebbero il figlio Anu. Anu sposò una dea e generò Ea. Essi disturbavano però con la loro vivacità Tiamat e anche Apsu, che non poteva più riposare. Apsu voleva annientarli e presentò questo disegno a Tiamat, presente Mummu, il vizir di Apsu. Tiamat si oppose. Il sapiente Ea conosciuta la cosa, con formule magiche addormentò Apsu, e Mummu non riuscì a ridestarlo. Ea strappò la corona ad Apsu e lo incatenò e poi l'uccise. Legò poi Mummu. Ea con la sposa Damkina, dimorò nell'abisso in una stanza regale. Lì generarono Marduk. Ea lo rese superiore a tutti gli altri dei e gli diede i quattro venti e Marduk li fece agitare in un polverone terribile contro Tiamat. Questa generò animali mostruosi: l'idra, il drago, l'uomo pesce, il capricorno, l'uomo scorpione, l'uomo toro. Qingu venne messo a capo della schiera pronta per la battaglia. Ea, confortato da Anshar, predispose il contrattacco. Si cercò anche di rabbonire Tiamat mediante la mediazione di Anu, ma tutto fu vano. Ea allora mise il campo il figlio Marduk, che chiese di essere eletto re sopra tutti gli dei per entrare in azione. Venne eletto re degli dei durante
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30/04/2011 18:44

 un allegro banchetto. Nel banchetto vollero saggiare se davvero Marduk era potente. Crearono una stella e chiesero a Marduk di distruggerla e poi di rifarla. Marduk lo fece e poi si preparò alla battaglia contro Tiamat con l'arco, le frecce e il fuoco che gli faceva da scudo, e prese anche una rete. Marduk aveva occhi che gli permettevano di vedere nelle quattro direzioni, e udiva quattro volte tanto gli altri dei e capiva anche quattro volte tanto. Marduk prese con sé i quattro venti e creò un ciclone, che fu il suo carro da guerra e si lanciò contro l'esercito di Tiamat, ma fu preso da un attimo di panico. Tiamat cercò di rabbonirlo per vincerlo con l'inganno, ma Marduk non cadde nel tranello. Tiamat diventò furibonda. Marduk fulmineo le lanciò la rete per immobilizzarla e le lanciò contro il ciclone, che riempiendo la sua bocca la fece enfiare; poi le lanciò contro una freccia che le trapassò il cuore. L'esercito di Tiamat atterrito fuggì, ma fu catturato dalla rete di Marduk. Poi Marduk divise in due il corpo di Tiamat. Appiattì metà di quel corpo e lo mise in alto come un tetto, facendone il cielo, dove pose gli dei, le costellazioni. Con la spuma marina di Tiamat fece le nuvole. Con l'altra metà del corpo fece la terra.

bnm 

La creazione dell'uomo

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30/04/2011 18:44

La narrazione procede dicendo che gli dei, schieratisi con Tiamat, sarebbero dovuti essere schiavi degli altri dei, ma in un consesso di dei decidono di sacrificarne uno per creare l'umanità che fosse al servizio di tutti gli dei. Il dio scelto è Qingu, il condottiero dell'esercito di Tiamat. Qingu vine ucciso e col suo sangue venne formata l'umanità alla quale venne imposto il servizio agli dei, i quali in riconoscenza costruirono per Marduk, fra cielo e terra, la città di Babilonia con un tempio per sua abitazione terrena.



La formazione dell'uomo è narrata da altri miti babilonesi. Uno costituisce la prima parte del diluvio universale babilonese. La redazione più antica è verso il 1650 a.C.

Il mito narra come gli dei all'inizio lavoravano come gli uomini. Solo sette Anunnaki erano oziosi nelle altezze del cielo imponendo agli dei il lavoro forzato.

Gli dei Igigi dovevano scavare vie d'acqua, quali elementi necessari di vita. Innalzavano montagne portando sulle spalle ceste di terra presa dagli scavi dei canali.

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30/04/2011 18:45

Gli dei sottoposti ai lavori forzati si lamentarono grandemente e promossero una ribellione. Tutti gli attrezzi da lavoro vennero messi al fuoco. Poi circondarono il tempio dove stava il sorvegliante ai lavori Enlil che spaventato ricorse al consiglio degli Anunnaki.

Si fece un interrogatorio per vedere chi aveva fomentato la ribellione, ma venne risposto che tutto era nato concordemente. Come soluzione si decise di formare Lullu, l'uomo, per lavorare al posto degli dei. Venne interpellato il saggio Ea che dormiva nella sua camera in fondo agli abissi, ed egli stabilì che un dio doveva essere ucciso, e con il suo sangue venissero purificati gli dei ribelli. Poi con la sua carne e il suo sangue mescolati all'argilla si producesse l'uomo. Dalla carne ne derivava lo spirito. Venne ucciso Aw-ilu, ispiratore della rivolta. Mami, la dea madre, creatrice dei destini, fece l'impasto e chiamò gli Anunnaki e gli Igigi, e tutti gli dei che sputarono tutti sull'impasto per dargli la vita. Gli dei acclamarono pieni di gratitudine Mami e la chiamarono “Signora degli dei”. Gli uomini così si misero al lavoro forzato, finchè anch'essi si lamentarono, e qui giunse il diluvio.

Un'altra narrazione presente nel poema di Ghilgames (databile intorno al 2100 a. C. e ritrovato in un’ampia versione nella biblioteca di Assurbanipal) è la creazione di Enkidu, che non è però il primo uomo, ma un uomo selvaggio, peloso, che stava tra gli animali, con una forza sovrumana, creato, per indicazione del dio Anu, dalla saggia dea Aruru perché diventasse compagno di Ghilgames re di Uruk, che però non governava bene. I due diventarono poi amici.

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30/04/2011 18:45

“La dea Aruru quando ebbe inteso ciò,

un'immagine del dio Anu formò nel suo cuore;

Arurù lavò le sue mani,

del fango stacco, lo pose sulla steppa;

sulla steppa formò Enkidu, l'eroe, il rampollo...,

vassallo del dio Ninurta...”.




Sunto: Il poema di Ghilgames giunge al punto in cui Enkidu muore, e Ghilgames diventa ossessionato dall'idea della morte. Così si mette in viaggio per trovare Utnapistim. Deve entrare dentro la porta del tunnel che il sole percorre tutte le notti, per poi ritornare sulla volta celeste. Ma il cunicolo è al momento del tutto buio, e occorrono dodici ore di cammino. Ghilgames viene avvisato da due esseri mezzo uomo e mezzo scorpione che vigilano la porta che l'impresa gli sarà impossibile. I due esseri riconoscono in lui la natura per un terzo di uomo e per due terzi di dio, infatti Ghilgames è il frutto del connubio tra la dea Ninsun e l'eroe Lugalbanda. Ghilgames entrò nel tunnel camminando nel buio più completo. Dopo dodici ore uscì precedendo il sole. Si trovò in un boschetto luminoso, con piante fatte di pietre preziose. Il rovo aveva al posto delle spine delle pietre scintillanti. Camminando arrivò sulla riva del mare. Lì vide una taverniera che preparava la birra degli dei. La taverniera lo trova sconvolto e lo interroga sulla sua identità. Lui le presenta il suo tormento, ma la taverniera gli dice che non potrà sfuggire alla morte. Ghilgames le domanda la strada per arrivare da Utnapistim.
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30/04/2011 18:45

Per giungervi egli deve attraversare l'oceano, cosa che solo il sole può fare. In mezzo all'oceano c'è una zona chiamata l'acqua della morte, ed è insuperabile. La taverniera tuttavia gli indica Urshanabi, il traghettatore di Utnapistim che lo può portare da lui. Ma la nave aveva come equipaggio degli esseri di pietra, gli unici inattaccabili dalla morte. Ghilgames distrusse tutto l'equipaggio per far vedere il suo potere a Urshanabi. Il traghettatore gli risponde che avendo distrutto l'equipaggio non potrà prendere la nave, deve perciò creare dei rulli con dei tronchi per varare la nave. Ghilgames si imbarcò da solo. Utnapistim lo vide da lontano e finalmente si parlarono. Utnapistim cerca di farlo riflettere sul fatto che egli è in una condizione superiore agli uomini e che perciò dovrebbe essere lieto. Gli dei hanno creato l'uomo e gli hanno assegnato come destino la morte. La sua lotta contro tutte le difficoltà non gli ha portato nulla. Finalmente Utnapistim gli indica un arbusto che cresce in fondo al mare e che si chiama “il vecchio ridiventa giovane”. La pianta gli darebbe l'immortalità corporea. Ghilgames la trova, ma durante la navigazione sulla via del ritorno un serpente esce dall'acqua e prende dalla barca dell'eroe l'erba preziosa e scompare. Tutto si conclude con una visione di beffa degli dei che tengono per loro l'immortalità e mantengono in balia della morte gli uomini. L'uomo non deve pensare all'immortalità corporea, Ghilgames, sebbene per due terzi di origine divina, non l'ha potuta avere, tanto meno gli uomini. Questo mito è alla fine un'apologia dell'unico e vero Dio e del suo disegno sull'uomo.



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30/04/2011 18:45

Un altro testo che narra al riguardo della questione dell'immortalità è quello del mito di Adapa. Adapa non è il primo uomo. Egli ricevette dal dio Ea la scienza dei segreti del cielo e della terra, senza tuttavia avere un mezzo per essere corporalmente immortale. Egli un giorno spezzò le ali del vento del sud e per questo venne chiamato a giudizio dal dio supremo Anu. Ea preoccupato per il suo protetto gli disse di non mangiare né bere nulla di quanto il dio gli avesse dato. Ma, ecco che il dio Anu considerando quanta scienza avesse Adapa pensò di dargli il cibo e la bevanda dell'immortalità, annoverandolo così tra gli dei. Ma Adapa seguì il consiglio di Ea e così rimase un mortale.

Questo mito fa vedere la beffa subita da Adapa causata dalla diffidenza del dio Ea nei confronti del dio Anu. In fondo Ea aveva comunicato ad Adapa tanta scienza per farne un cuneo nel mondo degli dei, e in definitiva Ea fu contento che Adapa rimanesse un mortale. Anche questo mito è un'apologia dell'unico e vero Dio e del suo disegno sull'uomo.



(Per quanto riguarda l'origine della donna dall'uomo nella narrazione Biblica, non è stata trovata alcuna analogia, sia nei testi babilonesi, che in quelli egizi e ugaritici, cioè nei testi dell'area culturale semitica).

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30/04/2011 18:46

Il diluvio babilonese



Nell'undicesima tavoletta delle dodici del poema di Ghilgames (British Museum) è narrato il diluvio babilonese, che ha assonanze con quello biblico, ma tuttavia diversità sia nel monoteismo, che nella durata, e anche nel modo: il diluvio babilonese ha le caratteristiche di un ciclone che sale dal golfo Persico.



Sunto: Utnapistim narra poi a Ghilgames che egli un tempo abitava nella città di Shuruppak dove gli uomini non conoscevano la morte e lavoravano la terra per gli dei. Il numero degli uomini si moltiplicò e il loro rumoreggiare disturbava il sonno di Enlil. Così gli dei riuniti a Shuruppak decisero di distruggere gli uomini. Il piano di mandare un diluvio doveva rimanere segreto affinché nessun uomo sfuggisse. Ea, invece, facendo finta di parlare ad una parete, avvisò Utnapistim del disegno distruttivo degli dei: “Uomo di Shuruppak, figlio di Ubaratutu, abbatti la tua casa, costruisci una nave, abbandona la ricchezza, cerca la vita. Disprezza gli averi, salva la vita. Porta nella nave ogni sorta di semi per la vita. Della nave che costruirai siano ben calcolate le misure”.

Il quinto giorno progettò la forma della nave. La sua superficie era di 12 iku (circa 3500 mq). Le sue pareti erano alte 10 gar (circa 60 metri). Vi fece sei piani e divise la sua larghezza in sette parti. Il suo interno lo divise in nove parti. Sei sar (circa 90-100 mc, in base ad un problema matematico: tavoletta Tel Haddad - 1770) di bitume versò nella fornace.

Tutto il paese visto il beneficio della partenza di Utnapistim si mise ad aiutarlo nel fare la nave. A nave pronta i cittadini di Shuruppak fecero una grande festa.

Tutto ciò che aveva di semi per la vita vi mise dentro. Portò nella nave la sua famiglia e suoi parenti; il bestiame dei pascoli, le fiere; tutti i maestri delle varie arti.

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30/04/2011 18:46

Poi al mattino piovvero focacce e a sera farina.

Utnapistim entrò nella nave, ne chiuse la porta. Non appena risplendette il mattino, dall'orizzonte si alzò un blocco di nubi nere. All'interno del ciclone c'era il dio Adad, che ruggiva con il tuono. Davanti a lui c'erano Shullata e Khanish che lanciavao i venti e i fulmini. Il diluvio era così spaventoso che gli dei fuggirono in cielo rifugiandosi presso il palazzo di Anu, accovacciati “come cani”.

Il diluvio, la bufera australe, devasta il paese per sei giorni e sei notti. Il settimo giorno la bufera australe, il diluvio, si placò. Il mare divenne calmo. E tutta l'umanità si era trasformata in argilla. Uniforme come un tetto di fango era diventata la terra. La nave scorse la terra e approdò sul monte Nizir, dove si incagliò. Al settimo giorno Utnapistim fece uscire una colomba, che tornò indietro non avendo luogo dove vivere. Poi Utnapistim fece uscire una rondine, e anche questa ritornò. Infine, fece uscire un corvo che non tornò indietro perché poté trovare da mangiare. Allora Utnapistim fece uscire tutti dalla nave. Fece un'offerta di profumi agli dei mettendola sopra la cima del monte. Enlil giunse e vide e s'infuriò perché qualcuno si era salvato. Enlil allora chiamò la dea della nascita e le disse di consigliarsi con Ea. Essi decisero che gli uomini dovessero morire e l'immortalità fosse solo riservata agli dei. Poi Enlil salì sulla nave e concesse a Utnapistim di essere immortale per sempre.

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30/04/2011 18:46



Note



Il problema della morte esiste per ogni uomo; non sorprende come i babilonesi abbiano pensato ad un'immortalità iniziale, che però presentano nel pesante servizio agli dei bisognosi di cibo. Gli uomini, infatti, si sentono fatti per la vita e non per la morte. Al di là delle rassomiglianze tra questa narrazione del diluvio e quella biblica, la distanza tra le due è profondissima. Esse risalgono ad un antico archetipo comune; tuttavia, la narrazione biblica è molto più arcaica di quella babilonese (Cf. “Introduzione alla Bibbia”; esegesi: Genesi, Enrico Galbiati, Ed. Marietti, Torino 1969, Vol II/1, pag. 190).

La morte è sopraggiunta, per la narrazione babilonese, non per colpa dell'uomo, e l'immortalità degli uomini non è vista all'interno di un'alleanza-dono, come invece si ha nel testo biblico. Tale alleanza-dono è un vincolo d’amore reciproco che parte dall'iniziativa amorosa e fedele di Dio e che deve essere rispettato dall'uomo, non un dato affidato al gioco delle turbe degli dei, a partire dalla perdita del sonno di Enlil, il quale, alla fine, si sente tranquillo nei suoi riposi solo se gli uomini sono soggetti alla morte.

La salvezza di Utnapistim è un'offerta ad un singolo protetto e non un'offerta a tutti. Nella Bibbia è offerta a tutti, anche se solo un gruppo di giusti se ne avvale (1Pt 3,20; 2Pt 2,5). Tutta la narrazione del diluvio babilonese, così politeista, è un'apologia all’unico Dio.



"Enciclopedia delle religioni", ed. Vallecchi, Firenze, 1978.
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30/04/2011 18:48

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30/04/2011 20:04

Budda o Buddha

vita



Gli studiosi per tracciare la biografia storica di Buddha hanno svolto un'opera di consultazione delle sue biografie. Lo studio ha fatto emergere un notevole volume di superfetazioni a carattere mitico sulla figura storica del Buddha, evidenziando, inoltre, che esse sono postume all'evento cristiano.

Le fonti che gli studiosi seguono sono evidentemente quelle più antiche, che si presentano sobrie e concrete.

Buddha nacque nel paese dei Sakya, una repubblica a regime aristocratico e feudale, situata in un territorio fertile che andava dalle pendici dell'Himalaya fino al Gange, e comprendeva circa un milione di abitanti. I Sakya erano la tribù dominante nel paese, che confinava con tanti altri Stati, spesso in guerra tra di loro. Il potere di governo veniva affidato ad un Raja (governatore) da un'assemblea che lo eleggeva. Buddha è un figlio del Raja del tempo, e non del re secondo una delle tante superfetazioni mitiche. Si conosce il nome del Raja, padre di Buddha, che era Suddhodana, ma la data di nascita di Budda rimane oscillante tra il 500 e il 567 a.C.

Budda quindi non rinunciò al trono, ma alle ricchezze, alla potenza della sua famiglia.
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30/04/2011 20:04

Gli venne dato il nome di Sidharta (sansc. Siddaharta), “Quegli che ha raggiunto lo scopo”. E anche di Gotama (sansc. Gautama), il Gotamide, quale appartenente al ramo (gotra) dei Sakia, che portavano il nome familiare di Gotama.

La madre di Sidharta fu Maya, della stirpe dei Sakia. Il parto avvenne in un bosco prossimo al villaggio di Lumbini, presso Kapilavastu, mentre la donna era in viaggio per poter stare presso i suoi genitori. Dovette fermarsi e partorire in condizioni disagiate, che probabilmente furono quelle che la portarono alla morte alcuni giorni dopo. Tale evento è confermato da una scritta che il re Asoka fece porre nel luogo nel 249 a.C.

La leggenda presenta Maya che concepisce il figlio durante il sonno, nel corso del quale vede entrare nel grembo un elefante bianco. Il fanciullo, secondo la leggenda (tradizione Mahayanica), portava 32 segni auspicali sul corpo e altri segni minori. Uscì dal fianco di Maya e fu immediatamente in grado di fare sette passi in avanti, lanciando un grido di vittoria, e rivolgendosi verso le nove direzioni cosmiche. Nel momento della sua nascita nascono anche la sua futura moglie e l'albero Bo, sotto il quale raggiungerà l'illuminazione (Buddha significa, “l'illuminato”).

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30/04/2011 20:05

Il Raja si sposò nuovamente con Mahaprajapati, dalla quale ebbe un figlio e una figlia. Sidharta, Gotama, visse la sua fanciullezza con i due nuovi nati. La sua educazione dovette avere un'impronta guerresca, come era quella dei Sakya, insieme agli agi delle ricchezze. Certamente imparò a scrivere su tavoletta con stilo.

Giunto in età adulta si sposò con una donna della quale non si conosce il nome, e ne ebbe un figlio, Rahula. In conseguenza di ciò la donna venne chiamata Rahulamata. Un tardo testo chiama la moglie di Buddha, Bhaddakacca, mentre altri testi le danno il nome di Gopa o di Yasodhara.

A 29 anni Sidharta ebbe una profonda svolta psicologica. Vide il dolore, vide la malattia, vide la vecchiaia, la morte, in una luce tragica. Indubbiamente, il giovane Sidharta era già stato raggiunto dal peso della morte della madre, e dal non avere per sé il padre, passato, come suo diritto, a nuove nozze e con altri figli.

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30/04/2011 20:05

All'origine del cammino di Buddha non ci sono riflessioni metafisiche, problemi teologici, c'è solo la visione traumatica, violenta, tragica, patologica, del dolore, del disfacimento dell'uomo. Si realizzò in lui una interiorizzazione della credenza della metempsicosi già elaborata dal pensiero vedico e professata dalla casta dei brahmini, che però si sentivano per la loro sapienza, le loro ritualità, come i prossimi candidati alla liberazione dal karma (karma vuol dire “agire, azione”). Il concetto che esprime è che ogni azione buona produce un karma positivo che segnerà benefici nelle vite successive (ciclo morte - reincarnazione: “samasara”); ogni azione negativa produce un karma negativo che peserà sulle vite successive. Esiste però un karma speciale che estingue ogni debito precedente e porta alla liberazione dal ciclo delle reincarnazioni, e quindi al nirvana e al paranirvana.

Il giovane Sidharta fuggì di casa a cavallo con un servo che volle seguirlo. Si fermò nel paese di Amaineya, a sei leghe ad oriente di Kapilavastu. Lì lasciò gli abiti principeschi indossò abiti dimessi e congedò il servo. Quella del giovane Sidharta è una vera fuga dalla sua famiglia e dal suo casato, prima di avere la consapevolezza di essere anche, usando i nostri termini, una fuga mundi.

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